
Spesso non ci si riflette abbastanza, ma il marketing, quello vero, è sociologia applicata. Perchè un prodotto o un servizio vengano acquistati da milioni di persone è necessario che aggancino quei meccanismi sociali che regolano il nostro rapporto all’interno di gruppi più o meno grandi di individui.
E questo libro di Emily Heyward, che ricostruisce i meccanismi grazie ai quali un brand può diventare virale, ha a che fare con il culto totemico, con i meccanismi che regolano le sanzioni sociali (siano esse di tipo negativo o positivo), la più forte delle quali è l’inclusione o l’esclusione da un gruppo; ed ha a che fare anche con i meccanismi che conducono alla creazione di una vera e propria società. Che cosa sono le community se non delle comunità, nel senso di Gemeinschaft di Tonnies, con le proprie divinità tutelari, i riti sacri posti dai fondatori della comunità stessa, le norme e i divieti (tra cui i taboo) che regolano la vita di quella comunità e le norme che minuziosamente dicono cosa una persona deve fare per entrare a far parte di quel gruppo di persone (riti iniziatici) e quali sono i casi di esclusione da quel gruppo.

C’è di più. Ritorniamo sul concetto di comunità di Tonnies, che è l’opposto del concetto di società. E diciamo che il primo si riferisce a un piccolo paese di provincia e il secondo a una grande città. Nel piccolo paese le persone partecipano ai riti collettivi, ai lutti e alle feste della comunità e soprattutto, attraverso lo scambia di doni, si creano legami forti che tengono unita la comunità ed evitano le discordie. Il dono infatti serve a creare legami anche là dove non ci sono relazioni di sangue. Nelle grandi città invece tutto questo è attenuato, se non scomparso del tutto, e il senso di appartenenza collettiva si riduce a pochi elementi (la squadra di calcio per esempio)
Nelle comunità in sostanza le persone non solo si riconoscono nei valori collettivi, ma si riconoscono tra di loro come parte di quello specifico gruppo di persone. E questo è proprio ciò che avviene con i grandi marchi, che riescono a creare una comunità di valori nei quali le persone credono, ma anche una comunità di persone nelle quali le persone creano legami orizzontali di comunione. Si pensi ai fan club, ai raduni di collezionisti della Vespa o di amanti dell’Harley Davinson, per non dire dei collezionisti di snikers.
Dunque, che il dio non sia una divinità trascendente, ma un telefono con una mela morsicata sopra, conta poco. Che il rito di iniziazione per entrare nelle comunità dei fedeli non sia il battesimo, ma l’acquisto di quelle scarpe con lo swoosh sopra di fatto ha poca importanza. C’è però una cosa che conta e che chi non considera il marketing come sociologia applicata ignora: un prodotto o un servizio diventano virali, un influencer riesce a creare una comunità di milioni di persone che lo seguono e si lasciando, per l’appunto, influenzare nella loro condotta di vita (questo sì che è soft power), se sono costruiti intorno a valori, idee, visioni del mondo. Quello che si acquista non è mai un oggetto, altrimenti una busta di plastica avrebbe la stessa utilità di una borsa di Prada, si comprano sempre pezzi di idee, prospettive di vita, futuri che si vorrebbero, o rivendicazione nei confronti del mondo del proprio ordine di valori.